venerdì 24 aprile 2009

Il processo di lievitazione immaginativa: pregio o malattia incurabile?

Nel romanzo 'Le creature del buio' di Stephen King la protagonista Roberta Anderson va a fare una passeggiata nel bosco e inciampa in un pezzo di metallo. In breve scopre che quel piccolo bordo arrotondato non è altro che l'apice di una gigantesca astronave sepolta nel terreno.
Scrivendo storie mi capita sovente la stessa cosa.
Quando nell'autunno del 2006 buttai giù la traccia di una favoletta pseudo-comica intitolata 'Il fiore di cristallo', non avevo la più pallida idea della vastità del mondo che stava venendo alla luce. Un'ambientazione ampia a sufficienza da ospitare due o tre romanzi di buone dimensioni. In seguito ho dovuto accantonare la stesura per dare corso a progetti più urgenti, ma quelle storie sono lì che aspettano. E nel frattempo continuano a crescere come le palle di pasta per la pizza. Nuove idee, nuovi personaggi, nuove situazioni. Tutto continua ad aggregarsi come materia di una galassia in formazione. Talvolta ho paura di andare a vedere a che punto stanno, perché potrei aprire la portare ed essere investito da una slavina di pasta per la pizza. O da un mostro gorgogliante dotato di migliaia di pseudopodi che sussurra: scrivimi...
Sono i miei incubi ricorrenti
Questo procedimento, del tutto al di fuori del mio controllo, l'ho battezzato 'lievitazione immaginativa'. Da diverso tempo ho in animo di svolgere un sondaggio per appurare se sono l'unico affetto da questo curioso morbo, oppure se tra gli scrittori dilettanti è presente in forma endemica.
E' successo con le avventure dei magazzinieri del Magazzino Provvisorio M55 (altri progetti in coda... argh!), ed è accaduto di nuovo con il romanzo a cui sto lavorando ora.
Un anno e mezzo fa, più o meno, questo romanzo non era altro che un abbozzo implume provvisoriamente intitolato 'Il cadetto Luther'. Era la storia di un ragazzino di nome Luther, figlio di contadini, che veniva arruolato perché alla fattoria dove viveva non c'era abbastanza da mangiare. Ma per un destino particolarmente avverso, al momento dell'arruolamente l'unico posto disponibile era quello di Vivanda Aggiunta di Primo Livello, aggregata al battaglione di orchi.
Mi sembrava una storia simpatica.
Avrei raccontato delle avventure di Luther in guerra, e delle sue fenomenali acrobazie per non finire a fare da colazione agli orchi della sua squadra. Pensavo di cavarne un buon racconto. Per qualche motivo che ora non ricordo la storia aveva rallentato dopo venti o trenta pagine - forse perché già allora avevo intuito che un semplice racconto non sarebbe bastato - e prima che me ne accorgessi il file era chiuso e inscatolato, e io mi ero tuffato a pesce su qualcos'altro.
A fine 2008, cioè terminata la stesura del romanzo del mercenario Gamung Roderic, sono andato a rileggere quelle pagine scritte mesi prima e ho deciso di continuare. Nel frattempo però la palla di pasta era cresciuta un altro po'. Mi era venuta in mente qualche piccola trasformazione, qualche aggiunta che avrebbe contribuito a renderla più godibile. A quel punto pensavo che sarebbe venuta fuori una novelletta. Qualcosa sulle 40-50000 parole. Niente male, dunque. Un romanzino agile, una lettura veloce. Mi dissi: chissà che una cosa del genere non possa addirittura compiacere qualche editore perseguitato dai soliti mallopponi fantasy multi-tomo. Ma è passata anche quella fase.
Ora mi ritrovo in mezzo a una palude senza bussola e nessun sentiero da seguire, con 70000 parole alle spalle e l'impressione di essere circa a metà della storia. Senza contare tutti i lavori che sarò costretto a posticipare, perché a meno di fiammate eccezionali, la stesura mi terrà impegnato fino all'estate. Oltre a ciò, ho dovuto svolgere qualche piccola ricerca di chimica per togliermi dei dubbi, e il materiale che ho raccolto mi ha fornito spunti per un ulteriore paio di racconti, basati sulla stessa ambientazione.
Veder crescere le idee in questo modo è una cosa affascinante, non c'è dubbio. Peccato che per rendere fruttuoso il processo bisognerebbe disporre di giornate di quaranta ore, avere più mani della dea Kali, nonché possedere la capacità di muovere gli arti in autonomia per digitare contemporaneamente su quattro tastiere diverse.
Bè, io faccio il possibile, in ogni caso.

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