domenica 10 maggio 2009

Joe R. Lansdale - La notte del drive-in

Come promesso tempo fa, eccomi a parlare di quello che è diventato uno dei miei libri preferiti degli ultimi anni. Qualche nota prima di entrare nello specifico. L'autore si chiama Joe R. Lansdale, è un texano quasi sessantenne che sembra un inno vivente al buonumore. Ha scritto un sacco di 'roba' (qualcuno la definirebbe 'robaccia' ma io non lo trovo offensivo: adoro la robaccia!), passando dallo steampunk, al weird, al pulp, al noir, al Dio solo sa cosa. Ma non fa niente. Lansdale è uno di quegli autori che fanno scuola a se. Ho dato un'occhiata in giro per il web e il giudizio sembra abbastanza unanime: il drive-in pare decisamente il suo capolavoro. Al momento ho letto quattro o cinque libri di questo tizio e mi schiero anch'io con questa corrente. Il drive-in nella versione italiana di Einaudi riunisce i due romanzi The drive-in (1988) e The drive-in 2 (Not Just one of Them Sequels) (1989).

La trama. l'Orbit è un gigantesco drive-in texano dove si proiettano film per tutta la notte. Quattro ragazzi ci arrivano in camper con l'intenzione di godersi come al solito la Grande Nottata Horror del venerdì. Verso la metà del secondo film, però, la discesa di una strana cometa ghignante li intrappola insieme alle altre migliaia di spettatori, sigillando l'area del drive-in sotto una specie di budino melmoso che divora la carne come acido. Costretta a nutrirsi di hot-dog, Coca-Cola e caramelle, quella che era gente comune ben presto impazzisce. L'esaurimento delle scorte di cibo fa scivolare rapidamente il popolo del drive-in in un baratro oscuro dove regnano violenza, sesso e cannibalismo. E quando la situazione sembra ormai fuori controllo... comincia il vero delirio. Il Re del Popcorn, una specie di minotauro-messia che spara micidiali proiettili di carne e possiede impareggiabili poteri mediatici, assurge al potere incitando il popolo a commettere nuove scelleratezze.

Dunque, che cos'ha di tanto speciale questo libro?
Parte della risposta dovrebbe arrivare semplicemente dalla trama. Ma non è tutto. E' un libro che ha generato fiumi di discussioni, perché è stato visto come una caustica critica nei confronti di un certo tipo di società americana. Tutto bene, non sarò io a sostenere il contrario. Io però, che non sono un letterato nè un professorone, mi limito a parlarne come storia, e vi assicuro che ce n'è a sufficienza. Non potendo giudicarlo super-partes, mi limiterò a dire cos'ha di speciale per me: ha tutto quello che mi piace trovare in un libro. Innanzitutto dietro quelle pagine si sente all'opera un'immaginazione così fervida da sfociare nel delirio. Lo stile è pulito, preciso ed efficace. I dialoghi sono brillanti. Le descrizioni sono brevi, vivide. Lansdale possiede un umorismo letteralmente straripante, riesce a far sorridere anche in situazioni in cui uno dovrebbe domandarsi che cosa ci sia di divertente. E' cinico e spietato, crudo e crudele, adopera un linguaggio che lega una volgarità dietro l'altra quasi senza soluzione, eppure tutto sembra semplicemente perfetto. E' una lettura che scivola via come l'olio, una pagina dopo l'altra. Un esempio di similitudine calzante, per Lansdale, è: [...] aveva un fisico così nervoso che quando stringeva le palpebre, la pelle sulla punta dell'uccello gli si arrotolava all'indietro. [...]. Ogni pagina trabocca di amenità di questo genere.
Okay, passo a darvi un assaggio più consistente. Il brano che segue è l'inizio del secondo libro - quello che nella versione originale è The drive-in 2 (Not Just one of Them Sequels) - dove l'autore, per bocca del protagonista, fa il punto di ciò che è successo nel primo libro prima di riprendere la storia. E' un passaggio che trovo abbastanza illuminante per quanto riguarda lo stile di Lansdale, perciò vedete un pò se vi sconfiffera.

[Verso la fine del libro precedente, il protagonista Jack e un paio di suoi amici vengono crocifissi dalla folla inferocita e successivamente salvati da un tizio di nome Banditore, NDR]

[...] Un giorno, d'improvviso, uno si trova ad aver finito le scuole superiori, felice come un bruco nella cacca; si sveglia con l'uccello duro, passa le giornate seduto con le mutande macchiate di piscia e i piedi appoggiati sopra la bocchetta del condizionatore, con l'aria fredda che gli soffia sulle palle, e la prima cosa che gli succede è che viene crocifisso.
E non intendo metaforicamente. Parlo di chiodi nelle zampe e di schegge di legno nel culo, piaghe alle mani e ai piedi, urla, e la fiducia nella razza umana che vacilla. E' il genere di cosa che quando ti capita fai fatica a credere che il vecchio Gesù potesse perdonarla tanto facilmente.
Fa male.
Fossi stato G.C., sarei tornato dal regno dei morti più incazzato di un tasso con le balle in fiamme, e non ci sarebbero state tante stronzate di pace-e-amore, nè avrei pensato a stupidaggini tipo cambiare l'acqua in vino o moltiplicare i pani e i pesci. Mi sarei fatto grande come l'universo, mi sarei fatto due mattoni delle dimensioni giuste, avrei sistemato il mondo tra i mattoni, e wham, una bella poltiglia.
Non sono il tipo giusto come messia. Ho un brutto carattere.
Almeno, ce l'ho adesso.
Non è che mi aspettassi che la vita fosse tutta rose e fiori, e che sarei cresciuto sudando perle e scoreggiando boccioli di pesca, e neanche mi aspettavo di vivere un milione di anni e di ricevere un'infinità di lettere da stelline di Hollywood dalle lunghe gambe e affamate di sesso, che non vedevano l'ora di violentare il mio corpo e di abbronzarmi l'uccello. Ma, d'altra parte, mi aspettavo qualcosa di meglio di questa roba.
Io e i miei amici eravamo andati al drive-in per vedere dei film, non per diventarne parte. [...]


Se non avete particolari problemi con il turpiloquio, se vi piace leggere di un mostro cannibale che sfama la 'sua' popolazione vomitando a getto pop-corn muniti di un inquietante occhio spalancato (o di una cometa sorridente che si lascia alle spalle un budino acido, se è per questo), allora 'La notte del drive-in' è il libro che fa per voi. Io l'ho adorato. Non è nemmeno troppo lungo: tutti e due i libri contano appena 330 pagine. Ma sono pagine che valgono per mille.
Esiste anche un 'La notte del drive-in 3 - la gita per turisti' , che naturalmente ho già letto. Ne farò un altro articolo più avanti, perché lo merita. E' quasi più delirante del primo, ci sono brani che mi hanno fatto (letteralmente, giuro, non è un eufemismo) sprizzare lacrime dalle risate. Ed è la conclusione perfetta di questa saga-capolavoro. Ma, come diceva qualcuno, questa è un'altra storia, e si dovrà raccontare un'altra volta.



martedì 28 aprile 2009

Pioggia

Non so da voi, ma qui sembra che qualcuno abbia dimenticato i rubinetti aperti.
In quanto persona riflessiva, su di me il tempo piovoso esercita un certo fascino. Non lo nego. E' un fascino che apprezzerei maggiormente se disponessi di una villetta in stile vittoriano, con il camino acceso, una vestaglia ricamata a draghi d'oro, pantofole in pelo di renna intrecciato, quattro o cinque milioni di euro chiusi in una banca svizzera e, contestualmente, un cazzo da fare dalla mattina alla sera. Allora mi dedicherei alle mie passioni segrete: allevamento di terrier e bassett-hound, collezioni di tabacchi da pipa della Virginia NordOccidentale, munifiche opere di carità per i reduci delle guerre nel Terzo Mondo. Starei alla finestra con una tazza di te pregiato, a declamare odi: Oh, lacrimose stille seminate/ voi nubi guardinghe/ pallidi fieri soldati ammassati/nel ventre grigiume dell'aere/ s'è sciolto infine lo dolore vostro!
Che bellezza! Sarei proprio contento.
La realtà dei fatti è diversa. La verità è che due settimane di pioggia, da queste parti, sono quanto basta per trovare blocchi stradali dei vigili in prossimità di ogni rigagnolo, avere le scarpe sempre bagnate, scoprire di non possedere nemmeno un ombrello quando prima ne avevi sempre uno in mezzo ai piedi. Un inferno liquido. E qualche amenità accessoria come l'interno della macchina che puzza costantemente di cane bagnato (senza peraltro possedere né un terrier né un bassett-hound).
Finirà. La pioggia finisce. Arriva sempre il momento in cui le nubi si squarciano e l'azzurro esplode. Me lo ripeto da quando mi sono diplomato.

venerdì 24 aprile 2009

Il processo di lievitazione immaginativa: pregio o malattia incurabile?

Nel romanzo 'Le creature del buio' di Stephen King la protagonista Roberta Anderson va a fare una passeggiata nel bosco e inciampa in un pezzo di metallo. In breve scopre che quel piccolo bordo arrotondato non è altro che l'apice di una gigantesca astronave sepolta nel terreno.
Scrivendo storie mi capita sovente la stessa cosa.
Quando nell'autunno del 2006 buttai giù la traccia di una favoletta pseudo-comica intitolata 'Il fiore di cristallo', non avevo la più pallida idea della vastità del mondo che stava venendo alla luce. Un'ambientazione ampia a sufficienza da ospitare due o tre romanzi di buone dimensioni. In seguito ho dovuto accantonare la stesura per dare corso a progetti più urgenti, ma quelle storie sono lì che aspettano. E nel frattempo continuano a crescere come le palle di pasta per la pizza. Nuove idee, nuovi personaggi, nuove situazioni. Tutto continua ad aggregarsi come materia di una galassia in formazione. Talvolta ho paura di andare a vedere a che punto stanno, perché potrei aprire la portare ed essere investito da una slavina di pasta per la pizza. O da un mostro gorgogliante dotato di migliaia di pseudopodi che sussurra: scrivimi...
Sono i miei incubi ricorrenti
Questo procedimento, del tutto al di fuori del mio controllo, l'ho battezzato 'lievitazione immaginativa'. Da diverso tempo ho in animo di svolgere un sondaggio per appurare se sono l'unico affetto da questo curioso morbo, oppure se tra gli scrittori dilettanti è presente in forma endemica.
E' successo con le avventure dei magazzinieri del Magazzino Provvisorio M55 (altri progetti in coda... argh!), ed è accaduto di nuovo con il romanzo a cui sto lavorando ora.
Un anno e mezzo fa, più o meno, questo romanzo non era altro che un abbozzo implume provvisoriamente intitolato 'Il cadetto Luther'. Era la storia di un ragazzino di nome Luther, figlio di contadini, che veniva arruolato perché alla fattoria dove viveva non c'era abbastanza da mangiare. Ma per un destino particolarmente avverso, al momento dell'arruolamente l'unico posto disponibile era quello di Vivanda Aggiunta di Primo Livello, aggregata al battaglione di orchi.
Mi sembrava una storia simpatica.
Avrei raccontato delle avventure di Luther in guerra, e delle sue fenomenali acrobazie per non finire a fare da colazione agli orchi della sua squadra. Pensavo di cavarne un buon racconto. Per qualche motivo che ora non ricordo la storia aveva rallentato dopo venti o trenta pagine - forse perché già allora avevo intuito che un semplice racconto non sarebbe bastato - e prima che me ne accorgessi il file era chiuso e inscatolato, e io mi ero tuffato a pesce su qualcos'altro.
A fine 2008, cioè terminata la stesura del romanzo del mercenario Gamung Roderic, sono andato a rileggere quelle pagine scritte mesi prima e ho deciso di continuare. Nel frattempo però la palla di pasta era cresciuta un altro po'. Mi era venuta in mente qualche piccola trasformazione, qualche aggiunta che avrebbe contribuito a renderla più godibile. A quel punto pensavo che sarebbe venuta fuori una novelletta. Qualcosa sulle 40-50000 parole. Niente male, dunque. Un romanzino agile, una lettura veloce. Mi dissi: chissà che una cosa del genere non possa addirittura compiacere qualche editore perseguitato dai soliti mallopponi fantasy multi-tomo. Ma è passata anche quella fase.
Ora mi ritrovo in mezzo a una palude senza bussola e nessun sentiero da seguire, con 70000 parole alle spalle e l'impressione di essere circa a metà della storia. Senza contare tutti i lavori che sarò costretto a posticipare, perché a meno di fiammate eccezionali, la stesura mi terrà impegnato fino all'estate. Oltre a ciò, ho dovuto svolgere qualche piccola ricerca di chimica per togliermi dei dubbi, e il materiale che ho raccolto mi ha fornito spunti per un ulteriore paio di racconti, basati sulla stessa ambientazione.
Veder crescere le idee in questo modo è una cosa affascinante, non c'è dubbio. Peccato che per rendere fruttuoso il processo bisognerebbe disporre di giornate di quaranta ore, avere più mani della dea Kali, nonché possedere la capacità di muovere gli arti in autonomia per digitare contemporaneamente su quattro tastiere diverse.
Bè, io faccio il possibile, in ogni caso.

domenica 19 aprile 2009

Karen Russell - Il collegio di Santa Lucia per giovinette allevate dai lupi

Se dovessero chiedermi quali sono i due libri che mi hanno più colpito negli ultimi dodici/diciotto mesi, avrei una volta tanto una risposta abbastanza precisa. Il primo è 'La notte del drive-in' di Joe R. Lansdale. Non c'è nemmeno bisogno di fotofinish: letteralmente irraggiungibile. Ma di questo avrò modo di parlare in un altro post, in un quando ancora indefinito.
Il secondo è questa sorprendente antologia, dal titolo curioso di 'Il collegio di Santa Lucia per giovinette allevate dai lupi' (St. Lucy's Home for Girls Raised by Wolves). Bizzarro è il titolo, come bizzarri sono i dieci racconti che contiene. L'autrice si chiama Karen Russell, una ragazza della Florida, classe 1981, che sembra aver soddisfatto una volta tanto a pari merito sia la critica che i lettori. D'accordo, sui lettori non posso averne la certezza. Almeno dalle nostre parti di questo libro non ho mai sentito parlare. Ma state sicuri che almeno uno l'ha soddisfatto. Eccome.
Ha poco senso dilungarsi nel riassunto di ogni racconto, perché non è con una sinossi che si può illustrarne i pregi.
Le storie sono bizzarre, l'ho già detto. Ma non è solo quello: sono bizzarre in modo speciale. Hanno senso e coerenza, ma non è strettamente la trama quello che avvince. Sono i modi. Sono le situazioni. E' uno stile tutto speciale, fatto di velocità, battute argute, accostamenti che nella loro assurdità restano sempre, immancabilmente azzeccati. Sembra esserci un abisso di distanza tra un teppistello di periferia e un ragazzino figlio di astronomo e appassionato di astronomia. O no?

Il mio compito è vigilare.
Il compito di Raffy è assegnare i compiti.
Il compito di Marta è fare in modo che Petey abbia la sua coreografia e il suo costume.
Il compito di Petey è fare la luna.

Quando sono venuto qui, stanotte, non mi aspettavo di unirmi a una Banda Criminale Comico-Ironica. Sono qui perché papà mi ha fissato un appuntamento per vedere Alcione. Ha fatto qualche riferimento allusivo ai lunghi filamenti di luce blu e alla sua straordinaria nebulosità: cavoli se ero eccitato! Ho lucidato il mio planisfero tascabile. Ho letto tutti i suggerimenti degli esperti della mia Guida ultragalattica alla galassia, per bambini! per individuare l'ammasso stellare. [...]

Così comincia il racconto intitolato 'Almanacco astronomico dei crimini estivi'. L'io narrante è Oliver 'Ollie' White. Ollie è impegnato nelle sue attività da Giovane Astronomo, insieme al padre e alla sorella Molly, e un pò per caso, un pò a forza, viene coinvolto nelle criminose attività di Raffy, un bullo carismatico, e della sua ragazza Marta.
In quali crimini si cimenta la banda? Bè, sono crimini comico-ironici, naturalmente.

[...] Il lunedì ci imbarchiamo clandestinamente su una barca dal fondo di vetro e picchiettiamo messaggi proibiti in alfabeto Morse ai lamantini dagli occhi sognanti, nonostante il cartello di VIETATO TOCCARE IL VETRO in bella vista. Il martedì ci riscaldiamo rubando una confezione da sei di Coca-Cola e gettando i vuoti di alluminio nel bidone per la raccolta della plastica. Quindi prendiamo l'autobus che porta dalla parte opposta dell'isola - quando parte non ci aggrappiamo agli appositi sostegni - e rubiamo tutti i penny dal Pozzo dei Desideri dell'Ospedale Pediatrico. Raffy li usa per comprare una barretta di Mr. Goodbar. Sembra impassibile quando gli faccio notare che 1 barretta Mr. Goodbar = 187 desideri di bambini malati. [...]

Ma il crimine che Raffy sta realmente architettando, il 'colpo grosso', è la cattura dei piccoli di tartaruga dopo la schiusa delle uova. Il suo piano è di farli entrare in un sacco di iuta attirandoli con delle luci. A questo scopo ha convinto Petey, un ritardato mentale, a ballare sulla spiaggia sotto la luna, indossando una bardatura che comprende lucine natalizie, il coperchio di un bidone d'immondizia e vari strati di carta stagnola.
Ecco, sono colpi di genio come questo che contribuiscono a rendere unico il libro.

I racconti sono tutti di questa forza. Quasi tutti in prima persona. I protagonisti sono ragazzini, talvolta un po' sfigatelli, come il precente Ollie White. Mostrano un'aria sognante, se non proprio sbalordita, di fronte a situazioni assurde, grottesche, che però rappresentano realtà incontrovertibili. Più o meno quello che accade al lettore. Non si può non credere alle conchiglie giganti di 'La Città delle Conchiglie', o al coro da valanga di 'Verbale d'incidente, caso n. 00/422'. Per quanto eccentriche, queste situazioni rimangono tutte perfettamente credibili. Anzi, se uno ha quel genere d'inclinazione diventano addirittura affascinanti. Ti ci innamori. Io possiedo un'inclinazione assai spiccata per le storie strambe. Mi divertono e mi esaltano, non ci posso fare niente.
Nel racconto 'L'ossessione di Olivia', uno dei miei preferiti, i protagonisti sono due fratelli. A mezzanotte si immergono nel Cimitero delle Barche di Gannon con una maschera demoniaca, in cerca della loro sorellina morta. Niente male come inizio, mi sono detto. Poi si scopre come è morta Olivia: dispersa in mare a bordo di una granchio-slitta. Già.

[...] E' Herb che fabbrica le slitte. Sbudella i granchi e brucia gli steli degli occhi soffiando sulla fiamma di una torcia; poi dipinge delle strisce lungo i lati per farne delle slitte da corsa. Ha un noleggio al Molo 2: due dollari l'ora, dodici per tutta la giornata. [...]

Olivia monta su una di queste slitte, si lancia lungo la duna e finisce in mare. E non torna più. Ora forse questa a voi sembrerà una banalità, ma per me non lo è affatto. Per me una scrittrice che riesce a inventare delle granchio-slitte diventa automaticamente una donna da sposare. Non c'è discussione. Bè, non è solo per quello... anche la Grotta dei Vermi Splendenti ha avuto il suo peso. E poi c'è l'hotel Colpisci il Letto. Questa è grandiosa. E' un particolare secondario ma ricorrente, che spunta fuori in più di un racconto. Una ragazza che riesce a chiamare un hotel 'Colpisci il Letto' ha definitivamente il mio cuore in pugno.

E così passiamo attraverso 'Il Campo di Z.Z. per Sognatori Disturbati' e le sue baite rigorosamente divise per infermità (Apnoici del sonno, Sonnambuli, Sonniloqui, Picchiatesta, Mangiatori notturni [Questa mi andrebbe a pennello!], Digrignatori, ecc...). O il lungo viaggio di 'Tratto da Ricordi infantili della migrazione verso ovest', un'altra perla di questa raccolta. O lo stravagante pseudo-circo di 'Lady Yeti e il Palazzo delle Nevi Artificiali'. Insomma, la Russell non manca d'immaginazione. Eppure non è questo che mi ha sbalordito. Io non mi stanco mai di leggere amenità come le granchio-slitte. Ma come le scrive, queste storie... ecco cosa mi ha strizzato il cervello. Questo è l'inizio dell'ultimo racconto, 'Il Collegio di Santa Lucia per giovinette allevate dai lupi'.

Stadio 1: Nel periodo iniziale tutto è sconosciuto, eccitante e interessante per le vostre studentesse. E per loro è un divertimento esplorare il nuovo ambiente.
Dal
Manuale gesuita sullo shock della cultura licantropa.

All'inizio il nostro branco era tutto pelo e ringhi. Manifestavamo la nostra gioia pestando sul pavimento. C'eravamo scordate i latrati d'avvertimento dei nostri genitori, tutte le promesse di dimostrarci civilizzate, aggraziate e curate come delle vere signore. Correvamo all'impazzata per le stanze austere, rovesciavamo i cassetti dei comò, davamo zampate alle pile ordinate della biancheria inamidata delle ragazze allo Stadio 3, frantumavamo le lampadine con i pugni nudi. Le cose ci sembravano meno strane al buio. La camera da letto scura era inodore e priva di finestre. Rimediammo spruzzando esuberanti stelle filanti spray su tutte le cuccette. Stelle filanti gialle. Saltavamo da un letto all'altro e continuavamo a spruzzare. A mezz'aria ci annusavamo a vicenda, i nostri corpi che si deformavano in una risata cinetica. Le suore ci guardavano dall'angolo della stanza, i loro visi minuscoli assottigliati dal disappunto. [...]

A questa pagina ne seguono un paio che descrivono l'arrivo delle ragazze-lupo al Collegio e qualche sprazzo sulla loro vita precedente. Ma perfino quando la Russell si dilunga in questi flashback riesce a rimanere interessante, a non far perdere l'attenzione. Questo è una dote rara e preziosa per gli autori di racconti, che dispongono di uno spazio per forza di cose limitato.

Non sono sicuro di voler consigliare questo libro a tutti, indistintamente. Conosco persone che non lo apprezzerebbero. Ma se amate le storie stravaganti, le situazioni oniriche, deliziosamente spiazzanti, allora leggetelo. Leggetelo.
Una nota finale di complimenti la voglio riservare all'editore 'Elliot'. E' una piccola casa editrice, aperta appena un paio di anni fa. Hanno tradotto e pubblicato, oltre a questo libro, Christopher Moore (del quale parlerò in un altro articoletto) e altri autori molto interessanti che sto esplorando un po' alla volta. Insomma questi signori mi sembrano indirizzati sulla strada giusta. E' una scoperta oltremodo piacevole, in un panorama editoriale che troppe volte lascia a desiderare sotto una moltitudine di aspetti.
Al prossimo 'consiglio di lettura'.

venerdì 17 aprile 2009

Frammentabilia

Questo è un appunto che ho scovato sotto un certo numero di fogli. Il peso della carta che lo sommergeva era ancora quantificabile in misure terrestri, per cui non credo che sia vecchissimo. Dice così.
Per uno che cerca di uccidersi e fallisce esistono due strade. La prima è riprovare. Sembra la strada più semplice e talvolta lo è davvero. La seconda è scavalcare il senso di miserevolezza che ne consegue e guardarsi attorno. Guardare quello che rimane.

Lo rileggo e ho la sensazione di aver scritto questa cosa da ubriaco. Solo la sensazione. Ma potrei scommettere che non è così. Comincio a dondolare come un pendolo. Din-don. Mi capita di riempire ogni supporto scrivibile con frasi di questo genere. Scontrini della spesa, vecchie agende, block notes, post it. Non le chiamo nemmeno riflessioni, perché in effetti non rifletto quasi per niente quando le scrivo. Do una sbirciata e riferisco, ecco cosa faccio, senza chiedermi per grazia di Dio dove sono andato a guardare. No, è meglio non chiederselo, muchas gracias.
Certe volte da una frase come questa parte una storia. 'Parte' non è proprio il termine corretto. In realtà la storia è già presente. Palpita definendo se stessa, in attesa del momento in cui il Sommo Ottuso non deciderà che è il momento del 'parto'. Cioè. Il momento di partire. Bè, insomma, questo è uno di quei momenti in cui partire e partorire si fondono. Non stiamo a menarla, eh, vogliono dire la stessa cosa.
Per non perdere il filo... la storia attende dietro il lenzuolo, come sempre. E qualche volta scrivere una frase significa usare la taglierina per aprire lo squarcio. Ma non è questo il caso. Se questa sarà mai una storia, è del tutto in gestazione.
Imbattersi in queste frasi è come andare a pesca nel Mar dei Demoni. Ce n'è per tutti i gusti e per tutte le tasche. Non sai mai quello che può abboccare.
Questa però torniamo a seppellirla nel labirinto estemporaneo.
E' roba da Picasso.
Nah, 'desso no.

martedì 14 aprile 2009

Uh?

Io sono un tipo sfasato. Rispondo in ritardo perché le domande mi giungono in ritardo. Perdo la cognizione del tempo perché mi viene il dubbio di vivere in un mondo che solo in apparenza somiglia a qualcosa di familiare. Ogni tanto ci prendo, in tempi e modi corretti, ma più che altro è questione di fortuna. Il più delle volte cerco di convincermi che sia un male passeggero. Insomma l'altro giorno mi è successa questa cosa di cui non voglio assolutamente parlare, e lo sfasamento è svanito. Così. Puff. Da un istante all'altro. Inutile aggiungere che questa cosa mi ha fatto sentire ben più sfasato del solito. Avevo una faccia che era tutto un programma. Quando sono rientrato a casa MacLeod, la mia pianta d'appartamento, mi ha guardato con le foglie piegate in un atteggiamento di evidente perplessità. Ha preferito non chiedere niente. D'altronde io non avrei saputo che rispondere.
Mentre tento di fare ordine in questo quotidiano, ordinario gran casino che è la mia vita, beccatevi un altro paio di raccontini. Bè, diciamo uno e mezzo. Il racconto intero è 'La gabbia'. E' una storiella che ormai ha quasi dieci anni, però è come il sesso o le lasagne, piace sempre come la prima volta (ogni tanto migliora anche, dai). Il mezzo racconto invece è un pezzo di tre pagine che ho intitolato 'Lastra decide di giocare'. Vi chiederete il perché di un titolo così. La risposta è che racconta di Lastra che decide di giocare. Insomma, come ho detto non è un racconto vero e proprio, ma un frammento. Pensavo a questi due strani amici di nome Lastra e Snizz. Due tipi che ovviamente provengono Da Un Altro Mondo. Per qualche ragione sono finiti qui, in mezzo a noi. Sono due simpatici giocherelloni, solo che le onde mentali che generano talvolta causano... uhm... interferenze ai meccanismi circostanti. Insomma questa idea dei due profughi da un altro mondo ha radici profonde nella mia testa. Tanto profonde che potrei definire questo pezzo come un accessorio alla seconda parte di un romanzo che scriverò solo tra moltissimo tempo. C'è tutto un universo dietro Lastra e Snizz, ma buona parte di quell'universo a tutt'oggi è ancora inesplorato. Qualche mese fa mi sono preso un paio d'ore per buttare giù quell'idea, che alla fine è rimasta più o meno l'immagine che avevo in testa, senza trasformarsi in una storia definita. Va bene così. Ogni tanto capita. Quel pezzo è rimasto chiuso nell'hard disk fino a oggi. L'ho riletto e mi è sembrato simpatico, perciò ho deciso di aggiungerlo. Okay, bye bye, sayonara, arvedse. Al prossimo sfasamento.

giovedì 9 aprile 2009

Dalle Officine di Produzione I/09

Questa settimana ho ripreso a scrivere la mattina presto.
La storia della scrittura pre-lavorativa è un'idea balzana che avevo cominciato a testare un anno fa. In pratica si tratta di sfruttare quella mezzoretta che corre tra la fine della colazione e la partenza per il lavoro. Mezz'ora non è molto, ma di solito è sufficiente per buttare giù due o trecento parole.
Con una media del genere la stesura di un racconto può andare avanti per settimane. Però ci sono dei vantaggi.
Io possiedo un cervello a carburazione assai lenta (per non dire che alcune volte non parte proprio, e me ne resto fino a sera a fare la versione suburbana degli zombi di Romero). Sedermi a scrivere alle otto meno un quarto, dopo aver espletato la sacra triade 'Corsa, Doccia e Colazione', è un buon sistema per sgranchire i neuroni e riallineare le parabole che mi tengono in contatto col mondo.
Un altro pregio è che si tratta per l'appunto di minuti rubacchiati, pertanto mi concedo la libertà di lavorare sugli spunti di seconda scelta. Con questo intendo idee abbastanza buone da continuare a stuzzicarmi, ma non abbastanza da partire lancia in resta mollando baracca e burattini.
Inoltre è una maniera di scrivere racconti contemporaneamente a un progetto più ampio, come un romanzo, senza continuare a farli slittare a tempo indeterminato. E questo è importante. Posso mettere le idee da parte sullo scaffale, siamo d'accordo, però quelle hanno la tendenza a pestare i piedi e strepitare, e questa è una fonte di distrazione pericolosa. Se invece comincio a buttarle giù di solito si zittiscono. Almeno un po'.
I risultati di queste mini sessioni mattutine sono altalenanti, ma io comunque non ci perdo il sonno (notare l'ironia della cosa...). Si tratta più che altro di esperimenti.
Lo scorso anno con questo stratagemma ho scritto tre o quattro racconti, di cui un paio abbastanza buoni.
Il racconto a cui sto lavorando in questi giorni non è la storia di un personaggio, come capita di solito, ma di un posto. Il protagonista è un bosco misterioso da cui saltano fuori una serie di creature a dir poco stravaganti. Se mai arriverò a vederne la fine è facile che decida di metterlo in download nella sezione qui di fianco.
In questo modo chiunque sarà libero di dirmi: "Dormire mezz'ora in più no, eh?"